a cura di E. Benucci [Commissione per i testi di lingua, Bologna 2006]
Composta tra il 29 ottobre e il 1 dicembre 1822, e pubblicata a Milano dall’editore Stella nel 1826, la contraffazione del Martirio de’ Santi Padri, pur nella sua brevità e nella sua singolarità di genere, occupa un posto non trascurabile nella storia intellettuale e letteraria di Leopardi: «l’interesse e il fascino di questo testo», come acutamente osserva la curatrice della più recente e accuratissima edizione critica, è rintracciabile proprio nel «lavoro che Leopardi ha svolto sul manoscritto, un lavoro di lima e di affinamento straordinario, con particolare attenzione e rigore alla forma linguistica, al periodare, alla scelta delle forme verbali, alla punteggiatura».
Del resto, questi sono proprio gli anni, durati sino al 1828 (pur con la pausa dell’intenso Coro dei morti e dell’Epistola al conte Carlo Pepoli), in cui Leopardi, abbandonata quasi completamente la poesia, si dedica alacremente e con maggiore impegno alla prosa, sia sulle pagine dello Zibaldone sia con i primi abbozzi di quelle che sarebbero poi diventate le Operette morali – senza trascurare la passione, davvero tutta leopardiana, per l’imitazione che già in giovane età lo aveva spinto alla composizione dell’Inno a Nettuno e delle Odi adespotæ pubblicate nel 1817.
Questa nuova edizione critica, che segue quella curata da Francesco Moroncini nel 1931, e che riproduce il testo del già citato volume del 1826, spiega in maniera convincente e inequivocabile che la prima vera stesura del Martirio, almeno sino a quando non sarà rintracciato un abbozzo anteriore, è quella del manoscritto conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli.
Mette inoltre in luce, con altrettanta chiarezza, l’importanza del primo esemplare a stampa che presenta «varianti sostanziali e formali rispetto all’autografo», varianti che hanno spinto la curatrice a dare due apparati distinti (Apparato A e Apparato B): il primo per mettere in relazione e collazionare le differenze tra il manoscritto napoletano e la stampa del 1826; il secondo, invece, per la collazione tra la stampa del 1826 e l’edizione critica curata da Moroncini.
Una serie di note esplicative a integrazione delle annotazioni leopardiane e un accurato indice delle opere menzionate da Leopardi stesso nelle sue annotazioni completano il lavoro della Benucci: lavoro che, proprio per la precisione e la leggibilità delle diverse lezioni indicate (meticolosi e illuminanti risultano i Criteri di edizione), si rivela utilissimo per entrare nel laboratorio linguistico di Leopardi e per conoscere, almeno in parte, i segreti della sua particolarissima elaborazione letteraria.
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